Enzo Biagi (1920-2007) è stato un giornalista, scrittore, conduttore televisivo e partigiano italiano. Nel 1988 aderì con altrettante personalità della politica, del giornalismo e dell’Università italiana, al primo Simposio dell’Associazione Internazionale Magna Grecia allora presieduta dal giornalista e corrispondente da New York per la Rizzoli Corporation Gino Gullace, in occasione del quale Biagi introdusse la neonata Associazione, prendendo parte al Comitato d’Onore della stessa dal 1990. 

Considerato uno dei volti più popolari del giornalismo italiano del XX secolo, come riportò il Corriere della sera alla sua scomparsa. Con il Professore e amico Gino Gullace, unitamente ad Antonio De Falco, Guido Gerosa, Gian Franco Venè e Lorenzo Vincenti, nel 1969 collaborò alla stesura del volume “La luna è nostra. Le storie e i drammi di uomini coraggiosi”, un saggio pubblicato tra gli speciali del periodico “OGGI” per la sezione Astronautica, “un viaggio fotografico verso la conquista di quel satellite privo d’aria e immerso nel silenzio che si chiama Luna”. Nel 1988, Enzo Biagi scrisse la presentazione del libro di Gullace “Un uomo in grigio alla Casa Bianca. L’uomo più potente del mondo chi è e come viene eletto”, che descrive con solida e non orgogliosa preparazione culturale le figure dei presidenti americani, le vicende e gli scandali degli abitanti della Casa Bianca in quegli anni, nei loro aspetti più intimi e sconosciuti.  

Nacque a Lizzano in Belvedere, un paesino dell’Appennino emiliano in provincia di Bologna, dove si trasferì all’età di nove anni. 

«Ho sempre sognato di fare il giornalista, lo scrissi anche in un tema alle medie: lo immaginavo come un “vendicatore” capace di riparare torti e ingiustizie […] ero convinto che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo».

Fin da bambino si dimostrò particolarmente versato per le materie letterarie, mostrando un talento innato per la scrittura. Le cronache del tempo inoltre riportano anche un suo celebre “explot”, ossia un suo tema, particolarmente riuscito, che venne addirittura segnalato al Pontefice.

Pur non abbandonando gli studi, iniziò ad intraprendere i primi passi della carriera collaborando con il quotidiano bolognese “L’Avvenire d’Italia”, occupandosi di cronaca e di piccole interviste a cantanti lirici. 

Nel 1940 fu assunto in pianta stabile dal Carlino Sera, edizione pomeridiana del Resto del Carlino, il principale quotidiano bolognese, come estensore di notizie e divenendo poi, a soli ventuno anni, professionista.  

Lo scoppio del Secondo conflitto mondiale ebbe inevitabilmente una sostanziale influenza sulla formazione giornalistica di Biagi, in quanto pur non essendo potuto partire per la chiamata alle armi a causa di problemi cardiaci, fu successivamente costretto a rifugiarsi sulle montagne, dove aderì alla Resistenza combattendo nelle brigate “Giustizia e Libertà” legate al Partito d’Azione, di cui condivideva il programma e gli ideali. In realtà, Biagi non combatté mai, poiché troppo gracile. Gli venne così affidata la stesura di un giornale partigiano, “Patrioti”, di cui Biagi fu in pratica unico redattore e con il quale informava la gente sul reale andamento della guerra lungo la Linea Gotica. Del giornale uscirono appena quattro numeri, poiché la tipografia fu distrutta dai tedeschi. Biagi considerò sempre i mesi che passò da partigiano come i più importanti della sua vita ed in memoria di ciò, volle che la sua salma fosse accompagnata al cimitero sulle note di Bella ciao.

Nel periodo immediatamente successivo alla guerra, Biagi fu assunto come inviato speciale e critico cinematografico al “Resto del Carlino”, che all’epoca aveva cambiato il suo nome in “Giornale dell’Emilia”, dando così inizio ad una lunga serie di viaggi all’estero che segnarono tutta la sua vita. Si recò in Polesine, per raccontare e descrivere l’alluvione che aveva flagellato la provincia di Rovigo. Quegli articoli segnarono Biagi da diverse prospettive, poiché da un lato comportarono il suo isolamento all’interno del giornale, considerato “pericoloso sovversivo”, dall’altro suscitarono però l’interesse da parte di Bruno Fallaci, il direttore del settimanale “Epoca”, che lo chiamò a lavorare come caporedattore al periodico. Poco dopo scoppiò “il caso Wilma Montesi” – relativo al ritrovamento di una ragazza romana trovata morta sulla spiaggia di Ostia e che coinvolse l’alta borghesia laziale – che si tramutò presto in uno scandalo che Biagi seppe subito sfruttare, decidendo di dedicare a questo la copertina dell’Epoca, nonché un’inedita ricostruzione dei fatti. L’idea di Biagi fu un successo clamoroso dal quale gli derivò l’affidamento direttivo dell’Epoca, imponendosi nel panorama delle grandi interviste italiane e surclassando la storica concorrenza delle testate di L’Espresso e de L’Europeo. 

Lasciata Epoca, passando poi per La Stampa, Biagi divenne direttore del Telegiornale applicando subito la formula di Epoca al Tg, dando meno spazio alla politica e maggiormente ai “guai degli italiani”, come chiamava lui stesso le mancanze del nostro sistema. 

Nel 1962 lanciò il primo “RT Rotocalco Televisivo” della televisione italiana e conducendo la trasmissione fino al 1968. A Roma, tuttavia, le pressioni politiche erano insistenti e, nel 1963, decise di dimettersi, dopo l’ultima puntata chiusa da “I ragazzi di Arese” di Gianni Serra, e di tornare a Milano dove divenne inviato e collaboratore dei quotidiani Corriere della Sera e La Stampa. Nel 1967 entrò nel gruppo Rizzoli come direttore editoriale. 

Nel 1971 fu nominato direttore de Il Resto del Carlino, con l’obiettivo di trasformarlo in un quotidiano nazionale con più attenzione alla cronaca e alla politica. Biagi esordì su Rai1 con un editoriale che intitolò “Rischiatutto” come la celebre trasmissione di Mike Bongiorno, commentando il caos in cui si stavano svolgendo le elezioni del presidente della Repubblica, che videro poi l’elezione di Giovanni Leone.

Tra il 1977 e il 1980 vi fu un ritorno di Biagi alla Rai con la conduzione del programma “Proibito”, che trattava temi di attualità, guidando due cicli d’inchiesta internazionali denominati Douce France (1978) e Made in England (1980). Iniziò così ad occuparsi di interviste televisive, genere di cui sarebbe divenuto un maestro. Nel programma furono intervistati personaggi-chiave dell’Italia dell’epoca come l’ex brigatista Alberto Franceschini, Michele Sindona, il finanziere poi coinvolto in inchieste di mafia e corruzione, e soprattutto il dittatore libico Mu’ammar Gheddafi nei giorni successivi alla caduta dell’aereo di Ustica. 

L’esperienza in televisione di Biagi proseguì su Rai1 con la conduzione di “Linea Diretta”, uno dei suoi programmi più seguiti, che proponeva l’approfondimento del fatto della settimana, tramite il coinvolgimento dei vari protagonisti. Nel 1986, sempre su Rai 1, fu la volta di “Spot”, un settimanale giornalistico in quindici puntate, cui Biagi collaborava come intervistatore. In questa veste, si rese protagonista di interviste storiche come quella a Osho Rajneesh, il famoso e controverso mistico indiano, nell’anno in cui il Partito Radicale cercava di fargli ottenere il diritto di ingresso per l’Italia che gli veniva negato; oppure quella a Michail Gorbačëv, negli anni in cui il leader sovietico iniziava la perestrojka; o quella ancora a Silvio Berlusconi, nei giorni delle polemiche sui presunti favori del governo Craxi nei confronti delle sue televisioni. Berlusconi stava tentando invano di convincere Biagi ad entrare a Mediaset, ma lui rimase in RAI.

Nei primi anni Novanta realizzò soprattutto trasmissioni tematiche di grande spessore, come Che succede all’Est? (1990), dedicata alla fine del comunismo, I dieci comandamenti all’italiana (1991), Una storia (1992) sulla lotta alla mafia, dove apparve per la prima volta in televisione il pentito Tommaso Buscetta. Seguì attentamente le vicende dell’inchiesta “Mani pulite”, con programmi come Processo al processo su Tangentopoli (1993) e Le inchieste di Enzo Biagi (1993-1994). Fu il primo giornalista ad incontrare l’allora giudice Antonio Di Pietro, nei giorni in cui era considerato “l’eroe” che aveva messo in ginocchio Tangentopoli.
Nel 1995 iniziò a condurre la trasmissione “Il Fatto”, un programma di approfondimento dopo il Tg1 sui principali fatti del giorno, di cui Biagi era autore e conduttore. Tra le interviste andate in onda nella trasmissione, vanno segnalate quella a Marcello Mastroianni, a Sophia Loren, a Indro Montanelli e soprattutto le due realizzate a Roberto Benigni. 

Negli ultimi anni scrisse anche con il settimanale L’Espresso e le riviste Oggi e TV Sorrisi e Canzoni. Nell’agosto del 2006, intervenendo su il Tirreno, avanzò delle perplessità circa la sentenza di primo grado emessa dagli organi di giustizia sportiva, in relazione allo scandalo che colpì il calcio italiano a partire dal maggio dello stesso anno e noto giornalisticamente come Calciopoli.

Nonostante l’allontanamento dalla televisione, vi fece ritorno dopo due anni di silenzio, nella trasmissione “Che tempo che fa”, intervistato da Fabio Fazio, in occasione della quale affermò che il suo ritorno in Rai sarebbe stato molto vicino e, al termine della trasmissione, il direttore generale della Rai Claudio Cappon, telefonando in diretta, annunciava che l’indomani stesso Biagi avrebbe firmato il contratto che lo riportava in TV. Nell’Aprile del 2007 tornò in televisione con RT Rotocalco Televisivo ma l’improvviso aggravarsi delle condizioni di salute di Biagi, non lo permisero.

Si spense nel 2007 all’età di 87 anni. Molte furono le iniziative per ricordarlo: Michele Santoro gli dedicò una puntata nella sua trasmissione Annozero titolata “Biagi, partigiano sempre”; Blob e Speciale Tg1 riproposero i filmati dei suoi programmi più significativi; il Corriere della Sera organizzò una serata commemorativa presso la Sala Montanelli e la Rai lo onorò con una serata presso il teatro Quirino a Roma, trasmessa in diretta su Rainews24 e poi in replica su Rai Tre in seconda serata.

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